La legionella è un batterio aerobio e, tra le sue numerose specie, quella più pericolosa, e quella che guarda caso ci interessa, è la Legionella Pneumophila. Questo per nulla simpatico batterio può causare infezioni polmonari anche gravi che, attraverso il coinvolgimento degli organi extra polmonari, possono portare alla morte dell’individuo colpito nel 5-15% dei casi. Non c’è da scherzare quindi. L’Italia è tra i Paesi più colpiti dalla legionella.
La legionella sopravvive tra 5 e 55°C e prolifera tra 24 e 42°C. Trova il suo ambiente ideale in condizioni di stagnazione e di presenza di incrostazioni o sedimenti. Può succedere che in assenza di tali condizioni la legionella stessa provveda a realizzare un ambiente idoneo al proprio sviluppo (biofilm), in grado di resistere sia all’azione termica che a quella chimica. Quindi purtroppo per noi gli impianti di produzione e distribuzione dell’acqua calda sono il suo habitat naturale.
Per ridurre la pericolosità di questo batterio possiamo agire già in fase di progettazione, eliminando la possibilità di ristagno dell’acqua (quindi ottimi impianti con ricircolo) e prevedendo, ove possibile, tubazioni di rame per la distribuzione finale, in quanto il rame inibisce la formazione della legionella. Un’alternativa è costituita dalla produzione istantanea dell’ACS, che non prevedendo accumuli ovviamente non espone il fianco a questo problema, se non dal lato primario al quale la normale utenza non ha accesso. Il problema in questo caso è rappresentato dal costo elevato delle apparecchiature e dai possibili problemi di spazio che il loro posizionamento comporta (per essere efficace il sistema deve essere il più possibile vicino all’utenza, e questo non sempre è possibile).
Altra strategia di azione prevede la cura dell’impianto attraverso un’adeguata manutenzione, che preveda una corretta pulizia degli impianti, degli accumuli e dei serbatoi, nonché di tutti gli altri componenti d’impianto in cui possa verificarsi il ristagno dell’acqua e la formazione di sedimenti. Il condizionamento chimico dell’acqua volto a evitare la produzione e proliferazione di alghe e altri batteri va anche a vantaggio della difesa contro la legionella, che spesso si alimenta di queste specie per sostenersi. Lo stesso trattamento chimico andrebbe impiegato per eliminare il biofilm, che costituisce la miglior difesa della legionella contro l’azione della temperatura.
Ma quali sono i principali metodi adottati per difendersi dalla legionella, una volta che l’impianto, progettato secondo le “best pratices”, è entrato in funzione?
Il primo metodo, quello a noi tutti familiare, è la disinfezione termica. Questo prevede l’aumento della temperatura dell’acqua sopra i 60°C (a 60°C la legionella muore entro 32 minuti, a 66°C entro 2 minuti, mentre a 70°C la morte è istantanea) per un tempo considerato sufficiente alla disinfezione. Ma attenzione, questo metodo, che non richiede particolari attrezzature, ha lo svantaggio di essere realmente efficace solo se raggiunge tutti i punti dell’impianto, compresi i terminali di distribuzione. Quindi per essere realmente al sicuro dovremmo aprire i rubinetti e aspettare che esca l’acqua a 60°C anche da quelli, per una mezz’oretta! Inoltre questo metodo non incide sul biofilm e quindi la legionella, dopo la batosta temporanea, ha tempo di ricostituirsi e nel giro di qualche settimana siamo daccapo.
Il secondo metodo consiste nell’aggiunta di cloro, potente agente ossidante, in concentrazione elevata (> 3 mg/l). Il vantaggio di questo metodo è che l’agente chimico raggiunge adeguatamente tutti i punti dell’impianto, ed agisce anche sul biofilm in maniera efficace. Il rovescio della medaglia è che l’aggiunta di cloro comporta la formazione di sottoprodotti ed esistono dei limiti massimi di concentrazione per garantire la potabilità dell’acqua (limite consigliato 0,2 mg/l). Oltre a questo per determinati tipi di tubature possono verificarsi anche dei problemi di corrosione. Quindi in ogni caso la disinfezione attraverso il cloro prevederebbe la necessità di lavaggi dell’impianto prima di ripristinare la distribuzione dell’acqua.
Il terzo e più promettente metodo è quello basato sul biossido di cloro, che permette, con piccole quantità (0,4 mg/l), di garantire un buon livello di disinfezione e anche l’eliminazione del biofilm, senza intaccare né le tubazioni né la potabilità dell’acqua, e senza comportare la produzione di sottoprodotti. Unico svantaggio è che va prodotto in loco con idonee apparecchiature di potenzialità adeguata all’impianto.
Il quarto metodo prevede l’irradiazione del flusso d’acqua con lampade a raggi ultravioletti. Tale metodo è efficace se impiegato in prossimità dei punti di utilizzo, mentre non ha efficacia sul biofilm e sulle zone di ristagno. Usualmente viene utilizzato in abbinamento ad altri metodi (tipicamente lo shock termico) per ottenere la disinfezione dei punti periferici. Tra gli svantaggi sicuramente il costo elevato delle lampade e il limitato flusso d’acqua che si può trattare con questo metodo.
Il quinto metodo si basa sull’azione combinata di ioni rame (che come abbiamo visto inibisce la formazione della legionella) e argento, generati tramite elettrolisi. Il rame è particolarmente efficace sul biofilm e impedisce quindi per diverse settimane la formazione di nuove colonie di legionella. Lo svantaggio è rappresentato dal fatto che la concentrazione degli ioni va adeguatamente monitorata, sia per garantire l’efficace azione disinfettante, sia per evitare il superamento dei livelli ammessi per la potabilità dell’acqua. Inoltre in presenza di una rete di distribuzione con tubi zincati il metodo non è applicabile in quanto lo zinco inattiva gli ioni argento.
Il sesto metodo prevede l’utilizzo di una soluzione stabile di acqua ossigenata (perossido d’idrogeno) e argento. Tale metodo è relativamente recente e ancora poco diffuso, quindi non sono ancora disponibili risultati da cui dedurne la validità.
Settimo metodo è quello basato sull’ozono, altro agente ossidante formidabile, ma decisamente meno pericoloso per la potabilità rispetto al cloro. Il suo punto di forza è la possibilità di agire anche sugli altri batteri e microrganismi eventualmente presenti nell’acqua, ottenendo una disinfezione ad ampio spettro con un unico agente.
L’ultimo, e forse il più innovativo, metodo che esaminiamo si basa sull’impiego di nanotubi applicati o direttamente sui punti di prelievo o sulle tubazioni di distribuzione, che costituiscono un filtro meccanico (filtro a membrana) per i batteri della legionella. Stiamo parlando di qualcosa come 0,2 μm di diametro (ovvero 0,0002 mm!), quindi è facile capire come questi filtri vadano sostituiti con una certa periodicità e vadano applicati in abbinamento a qualcuno degli altri metodi, e solo su impianti già privi di impurità, pena l’intasamento immediato del filtro.
Come abbiamo visto la scelta è ampia, anche in funzione di come è realizzato il nostro impianto, ma dimostra il fatto che sconfiggere la legionella non significa esclusivamente utilizzare acqua ad elevata temperatura. Il consiglio è come sempre di evitare di affidarsi a un solo metodo, per quanto semplice o economico, ma combinarne piuttosto diversi in modo da garantirsi un ottimo livello di protezione a fronte di una spesa ragionevole. Ci sono più di cento casi all’anno di legionellosi in Italia. Se adottando queste prassi riuscissimo a ridurli almeno della metà, sarebbe sicuramente valsa la pena investirci del denaro. La difesa della salute è un bene senza prezzo!

Fonti: Documento di linee-guida per la prevenzione e il controllo della legionellosi- Conferenza permanente per i rapporti tra Stato, Regioni e province autonome di Trento e Bolzano.

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